A.C.3235
Signora Presidente, arriva in Parlamento un provvedimento molto delicato, un provvedimento che ha visto divisioni: c’è stato un percorso accidentato, audizioni, confronti e si sono divisi anche i partiti. Io rispetto le posizioni degli altri colleghi del Partito Democratico; per quel che mi riguarda, insieme a tanti altri, ho una posizione contraria a questo disegno di legge. Esprimerò alcune valutazioni con la mia esperienza politica, ma se mi si permette anche con la mia esperienza di medico, che ha fatto il volontario all'inizio della propria esperienza professionale, all'interno dei SERT, quando vennero costituiti. È un dibattito, quello che è presente in Parlamento, che rispecchia anche quello che abbiamo nel Paese. A volte gli accenti sono manichei: da una parte, si dice «laici», dall'altra parte, per chi ha posizioni, «confessionali», i proibizionisti contro gli antiproibizionisti, chi vuole la legalità e chi vuole l'illegalità. Io credo che questo schema lo si debba superare e si debba superare cercando di guardare non soltanto all'oggetto droga, ma alla complessità delle problematiche perché, mentre il Paese si divide e mentre le forze politiche discutono, cambia anche il mondo della droga.
Fortunatamente rispetto agli anni Ottanta sono diminuiti i consumatori di eroina, ma c’è stata un'impennata di una droga pesante, la cocaina. Si mantiene alta la diffusione e il consumo dei derivati della cannabis ed è un consumo che tocca soprattutto gli adolescenti. C’è uno studio molto interessante, di oltre 4.000 intervistati e quasi l'80 per cento di questi ha iniziato a 14, 15 anni. Il mondo della droga vede anche un consumo straordinario delle droghe sintetiche e tanti
consumano droghe diverse. Rispetto a questa complessità, io non mi sento di dire «sì» a questo provvedimento, ma non dire «sì» non significa voler andare di nuovo alla penalizzazione di chi consuma. Noi abbiamo adottato alcuni provvedimenti relativi al decreto-legge n. 36 del 2014, che ha di fatto spazzato via gli errori commessi dalla legge «Fini-Giovanardi», che noi avevamo avversato. E io credo che sarebbe stato più logico andare avanti lungo questo percorso e circoscrivere la sfera dei consumatori, non andare alla penalizzazione di chi consuma, ma andare avanti verso la repressione. Ma proprio per questo io ora entro nel merito della materia, partendo da questo aggettivo, droga «leggera». Basta leggere un libro di farmacologia per comprendere che questo aggettivo viene utilizzato proprio perché a questo tipo di droga non viene fatto assumere l'effetto peggiore che si ha con l'utilizzazione di droga, la sindrome della astinenza, quell'astinenza dolorosa, quindi chi consuma derivati della cannabis non ha una dipendenza fisica. Ma dire questo significa che non fa danni ? Io non voglio andare ad una esasperata criminalizzazione o terrorismo psicologico, dico soltanto che ci sono dati scientifici che dicono che la tossicità di questa sostanza rimane nel corpo per mesi.
Aggiungo che c’è una dipendenza psicologica e gli effetti sono effetti chiari: una diversa percezione delle cose, una dilatazione nel tempo e nello spazio, un cambio d'umore. Questi sintomi variano a seconda della modalità dell'assunzione: per chi ne fa un uso saltuario o episodico probabilmente non si presentano in forme patologiche, ma quando si ha un utilizzo abituale, quando si ha un utilizzo cronico, o peggio quando si ha un abuso, ebbene questi effetti sono effetti presenti. Ci sono casi in cui si arriva alla dissociazione, a fenomeni anche chiari di allucinazioni. Quindi, io credo che sia giusto ribadire questo. È stato detto dal collega che mi ha preceduto: chi utilizza droga leggera passa alla droga pesante ? No, assolutamente, si può rimanere alla droga leggera; va detto però che studi e esperienze sociologiche ci dicono che si arriva alla droga pesante partendo dalla droga leggera. Ma passiamo all'altro dato, il dato sociale; si dice giustamente che a fare commercio di droga, a fare sporchi affari è la mafia ed è vero. E si dice anche che le Forze dell'ordine e la magistratura spingono verso una forma di legalizzazione, ma su questo dobbiamo allora essere tutti corretti e dire che non tutti sono d'accordo. Io non voglio piegare alla mia posizione importanti magistrati, però – visto che lo ha dichiarato Gratteri – questi, per esempio, dice che sarebbe assolutamente sbagliato pensare che si può abbattere il business della mafia sulla droga, legalizzandola o seguendo questa linea. E lo dice portando dei dati concreti; dice: lo Stato potrebbe dare questo prodotto con prezzi molto più alti, triplicati rispetto a quello a cui li fornirebbe, ancora una volta, la criminalità organizzata. Mi va da pensare a Borsellino, il quale quando parlava di questa ipotesi assunta da alcuni di legalizzare la droga, diceva, volendo combattere la mafia: siamo davanti ai dilettanti della criminologia. Perché diceva questo ? Perché la mafia è un mostro con tante teste e una regia straordinaria saprebbe adattare a questa condizione strategie di mercato e quindi mi pare chiaro che questa è una strada, una scorciatoia non facile da seguire.
Vado verso la conclusione. La conclusione è questa: chi dovrebbe fare la regolamentazione ? Lo Stato ? Uno Stato che dovrebbe regolare e poi diffondere ? Io ripenso ad alcuni dibattiti – e mi dispiace che i colleghi Cinquestelle siano andati via – penso alla loro posizione di conflittualità verso lo Stato sulla diffusione dei videogiochi, sulla ludopatia che si collega alla dipendenza psicologia. Dicono in quel caso i colleghi Cinquestelle: siamo davanti ad uno Stato colpevole, uno Stato complice. Ma in questo caso, nella dipendenza psicologica di queste droghe, siamo di fronte ad uno Stato benefattore ? Non mi pare. Allora, io concludo dicendo che, nel momento in cui si legalizza, non ci sono ragioni per uscire; ce ne sarebbero forse alcune per entrare nel mondo della droga. Quando un tempo utilizzare queste sostanze significava essere anticonformista, oggi si dice che si è conformisti. Non c’è dubbio – e concludo, Presidente – che siamo a volte davanti a un disagio. Il disagio va affrontato e lo Stato credo debba doverosamente, attraverso le proprie agenzie educative, innanzitutto la scuola, affrontare le difficoltà che hanno i giovani.